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di Giuseppe Longo

«Se tu vens ca su tas cretis…». Sono le prime parole di “Stelutis alpinis”, il brano più noto e commovente della tradizione friulana, oltre che della ricca produzione del suo stesso autore. Tutti lo conoscono e moltissimi sono coloro che  lo sanno cantare. Ma non tutti sanno chi l’ha scritto e, allora, questo è il momento opportuno per ricordarne il compositore. L’aveva messo sul pentagramma la penna del pontebbano Arturo Zardini pochi anni prima della sua prematura scomparsa, avvenuta nel 1923, quando il musicista aveva appena 54 anni. In occasione del centenario della morte, il suo paese natale vuole quindi rendere omaggio a uno dei suoi figli più illustri e lo farà questa sera, al Teatro Italia, con il concerto “Zardini, il jazz sinfonico”. Alle 21 sul palco Alba Nacinovich, voce, Glauco Venier, pianoforte, e Fvg Orchestra – appena reduce della splendida esecuzione della monumentale “Messa da Requiem” di Giuseppe Verdi al Teatro Nuovo Giovanni da Udine -, con la direzione del maestro Valter Sivilotti. Nell’occasione, sarà presentata una significativa parte del catalogo zardiniano rielaborata, appunto, con ritmi jazzistici, «dando così all’intimità delle sue composizioni in “marilenghe” una veste contemporanea e inedita», come si sottolinea in una sintetica anticipazione della Sinfonica regionale.

Valter Sivilotti

Alba Nacinovich

Glauco Venier

Arturo Zardini nacque a Pontebba il 9 novembre del 1869. La madre – ricorda Franco Colussi nel Dizionario biografico dei friulani – era nativa di Malborghetto, mentre la famiglia paterna, originaria di Pozzo di Codroipo, si era trapiantata dapprima a Cormons e in seguito nel capoluogo del Canal del Ferro. Il ragazzo iniziò la sua formazione culturale, sotto la guida del cappellano e maestro nelle scuole primarie comunali, e quella musicale con il direttore della banda cittadina, il quale lo avviò allo studio della cornetta. Adolescente, a causa delle difficoltà economiche, dovette per quattro o cinque stagioni (da marzo a novembre) risalire la Valcanale e attraversare il confine per recarsi nella vicina Carinzia a lavorare come apprendista muratore. Arruolatosi nel 1888, venne assegnato quale allievo cornettista alla banda del 36° Reggimento di fanteria Pistoia, di stanza a Modena. Durante i quattordici anni di permanenza sotto le armi, ebbe modo di maturare una buona e regolare formazione musicale: dal 1894 al 1898 fu mandato dall’autorità militare all’Istituto musicale di Alessandria per studiare armonia e contrappunto; quindi, rientrato al suo Corpo, venne iscritto ad un corso annuale di perfezionamento al Liceo musicale Rossini di Pesaro dove, il 15 agosto del 1899, conseguì il diploma di direttore di banda; quindi, la nomina a capo musica di banda militare presso il suo 36° Pistoia. Congedatosi nel 1902 col grado di maresciallo maggiore, rientrò a Pontebba, ove costituì un gruppo corale e fu assunto in Comune quale applicato di concetto all’anagrafe e maestro della banda. In quel periodo iniziò la composizione dei suoi canti friulani.
L’intervento in guerra dell’Italia nel maggio del 1915 – scrive ancora Franco Colussi – lo costrinse ad abbandonare nuovamente il paese natale. Profugo dapprima a Moggio, poi a Udine ed infine a Firenze, poté rientrare nel suo devastato e martoriato paese solamente nel 1919, e lentamente riprendere le attività che aveva svolto prima del conflitto. Ricostituì anche il coro di Pontebba, che divenne sicuro riferimento per molte altre formazioni, e dal 1920 lo diresse in numerosi centri del Friuli, intensificando anche l’opera di composizione in “marilenghe”. Nominato nel 1922 cavaliere della Corona d’Italia per la sua meritoria attività, già nell’autunno ebbe i primi sintomi del male che purtroppo lo condusse alla morte il 4 gennaio 1923. Il suo corpo riposa nel cimitero di San Rocco, nella sua Pontebba.

Fvg Orchestra domenica scorsa a Udine.


Parte della sua produzione musicale era stata dispersa già durante gli eventi bellici; sopravvivono una trentina di canti friulani (più di un terzo intonati su sue liriche, i restanti su testi di Zorutti, Chiurlo, Bierti, Carletti, Nardini, Fabris e Benedetti), tutti per coro tranne tre per voce solista, che hanno goduto e godono tuttora di una straordinaria fortuna, come il ricordato “Stelutis alpinis”, “Il ciant de Filologiche”, “La gnot d’avrîl”, “La stàjare”, “Serenade” e altri. Perduti sono invece molte composizioni sacre, diversi inni, marce per banda e ballabili, i canti per i bambini di Pontebba e anche la serenata per soli archi che gli aveva meritato un diploma di primo grado con medaglia d’argento nel 1901, in un concorso musicale indetto dalla Società artistica musicale diritto e giustizia di Palermo.
Un sintetico ritratto, insomma, per far capire chi era Arturo Zardini. Omaggio, quindi, questa sera a questo grande autore pontebbano nel centenario della scomparsa con un ricco programma messo a punto da Valter Sivilotti e Glauco Venier che, come dicevamo, proporrà noti brani zardiniani rielaborati, però, in chiave jazz con nuovi effetti che il loro autore sicuramente non avrebbe mai immaginato. Protagonisti il pianoforte di Venier, la calda voce di Alba Nacinovich e la Fvg Orchestra, diretta per l’occasione appunto dal maestro Sivilotti, applauditissima domenica scorsa al Teatrone di Udine per la magnifica esecuzione del Requiem verdiano.

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In copertina, uno storico ritratto di Arturo Zardini scomparso cent’anni fa a Pontebba.

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